venerdì 19 ottobre 2007

Russia è la nuova Mecca degli orafi

Nei primi mesi dell'anno l’esportazione italiana nella Federazione russa è cresciuta di oltre il 77% - Incrementi a due cifre anche per l’export verso la Polonia, gli Emirati, il Regno Unito e il Medio Oriente - Lo sbocco in Cina è ancora fortemente ostacolato dalle barriere doganali - A picco il giro d'affari in Asia (-35%).
Fino a dieci anni fa erano soprattutto gli sceicchi arabi che acquistavano collane, anelli, orecchini di produzione e lavorazione italiana. Ma anche vassoi, posateria, gioielli con gemme e pietre preziose. Oggetti unici, personalizzati, di straordinaria bellezza. Per poche (e fortunate) tasche. Oggi, accanto a questi tradizionali acquirenti, si affacciano i magnati russi, che spendono come minimo 3mila dollari per ogni piccolo cadeau. Ancora nella "fase di ostentazione", sono portati ad acquistare il gioiello per sottolineare il proprio posto nella società. E i prodotti italiani sono da sempre espressione di qualità, di design originali e di buon gusto. «I maggiori mercati per l'export italiano di gioielli in oro – afferma Philip Olden, 47 anni, direttore generale di World Gold Council – sono il Medio Oriente, l'Europa, gli Stati Uniti e i mercati emergenti come la Russia, dove la crescita della domanda è sostenuta». La posizione è condivisa da Pietro Taralli, 55 anni, presidente di Assicor (Associazione intercamerale di coordinamento per lo sviluppo produttivo della gioielleria e dell'argenteria): «La nuova frontiera, soprattutto per il prodotto di alta gamma, è a Est».Secondo il Gold Report della Fiera di Vicenza, aggiornato al luglio scorso, nei primi tre mesi dell'anno le esportazioni verso la Federazione Russa sono cresciute di oltre il 77 per cento. La tendenza è confermata dall'Istat: nel 2000 hanno raggiunto i consumatori russi gioielli e articoli di oreficeria italiani per un valore superiore a 11 milioni e mezzo di euro. Un anno dopo i milioni erano 23. Quindi, quasi 29 milioni e 700mila nel 2002, circa 33 nel 2003, quasi 37 nel 2004, oltre 44 milioni di euro nel 2005. Non solo: dopo la battuta d'arresto di tre anni fa, è in ripresa anche l'export di pietre preziose e semipreziose, per gioielleria e uso industriale, verso la Russia. Tutto questo nonostante i russi applichino dazi del 20%, contro il 2,5% che viene applicato ai gioielli, prodotti nella Federazione, che entrano nell'Ue. Russi sì, ma non solo. Nei primi mesi del 2007 incrementi a due cifre hanno contraddistinto l'export verso la Polonia (+50,1%) e Regno Unito (+47,5%). Quello verso il Medio Oriente è aumentato del 18%; più 25% solo verso gli Emirati Arabi, che coprono – tuttora – quasi il 13% dell'export complessivo orafo italiano. Quanto poi all'Asia, la Cina è soprattutto un concorrente delle aziende italiane: il calo delle importazioni di gioielli made in Italy è risultato superiore al 35 per cento. «Sebbene abbia un potenziale d'acquisto elevato – spiega Luciano Bigazzi, 45 anni, presidente di Confartigianato Orafi – le esportazioni verso questo Paese sono ancora contenute. Le barriere doganali imposte da Pechino non facilitano la penetrazione dei prodotti italiani nel Paese. La Russia è più alla nostra portata. È un consumatore che conosce, apprezza il gioiello italiano». L'andamento degli ultimi anni del settore orafo fa ben sperare. Tra il 2004 e il 2006, secondo le elaborazioni che l'Istituto Tagliacarne ha effettuato su dati Istat, l'Italia ha visto aumentare le esportazioni di prodotti orafi. Una performance che si è sviluppata in una fase di mercato – se non proprio di stagnazione - di scarso dinamismo: secondo il World Gold Council, infatti, solo nei primi mesi del 2006 gli operatori hanno assistito a un netto calo dei consumi mondiali di oreficeria. Ai produttori italiani non è rimasto che investire sulla qualità e sull'innovazione di gamma. Quindi, meno commesse ma di importi più elevati. Alla prova dei fatti, la mossa è risultata vincente. Secondo l'Istat, le esportazioni nel corso del 2006 sono aumentate di quasi il 10% rispetto all'anno precedente, raggiungendo i 4,4 miliardi di euro. Un'accelerazione che è stata sostenuta dai rialzi di prezzo delle materie prime preziose e dall'apprezzamento dell'euro nei confronti del dollaro. Più in particolare, nel 2006 quasi il 55% delle esportazioni ha raggiunto l'Europa. In valore assoluto, l'ammontare complessivo è stato di oltre tre miliardi e mezzo di euro. In questo contesto, un ruolo di primo piano è stato ricoperto dalla Svizzera (14,8%) e dalla Francia (10,6%), seguite a distanza dal Regno Unito (5,8%), dalla Spagna (4,6%) e dalla Germania (3,2 per cento). Gli Stati Uniti sono risultati il principale Paese di sbocco per i prodotti orafi italiani, con una distribuzione percentuale che si è attestata al 16 per cento. Il valore ha superato il miliardo di euro. A ben vedere, negli ultimi anni l'Italia ha visto ridursi la propria quota nel mercato statunitense, con le esportazioni di gioielli e articoli di oreficeria che sono passate da un miliardo e 900 milioni di euro nel 2000 agli 800 milioni circa di due anni fa, a causa soprattutto della concorrenza di India, Cina e Turchia. Ha continuato invece a ricoprire un ruolo importante il Medio Oriente: l'export di prodotti in oro italiani l'anno scorso ha segnato una crescita del 12 per cento. In questo caso, a fare da traino è stata soprattutto la domanda da parte dei Paesi dell'area del Golfo Persico, dove i consumi di lusso hanno segnato negli ultimi decenni un incremento esponenziale.

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